Spillover. Perché il libro sulle epidemie di David Quammen merita il successo che ha

Pubblicato il da Daniele A. Esposito

Spillover. Perché il libro sulle epidemie di David Quammen merita il successo che ha

Nel 2012, in tempi non sospetti, il divulgatore David Quammen (1948) portò sotto i riflettori, con il suo libro Spillover (in Italia dal 2014 con Adelphi) the Next Big One, la temutissima, quanto attesa, pandemia del secolo.
Non fu un’idea sua, come ammette onestamente nelle decine di interviste che sta rilasciando, in questi giorni, nelle colonne di tutti i giornali del mondo (tra le più significative segnalo quelle apparse sul Manifesto e su Wired). Per quel progetto Quammen interpellò, nel corso degli anni, un gran numero di esperti in ogni dove, tracciando su carta un percorso chiaro, sulla base di casi di studio concreti, pubblicazioni scientifiche e chiacchierate informali con luminari impegnati in prima linea. Non poteva che arrivare alla peggiore pandemia zoonotica dai tempi della spagnola che, ricordiamolo, falcidiò, secondo le stime, almeno 50 milioni di persone nel mondo tra il 1918 e 1919 (a tal proposito, per approfondire, suggerisco 1918. L’influenza spagnola: la pandemia che cambiò il mondo di Laura Spinney).


Se la previsione non è farina del suo sacco, il divulgatore, però, ha il grande merito di aver messo insieme i pezzi di un puzzle che, nella sua interezza, rappresenta un lucido ed emozionante quadro di sintesi, intelligibile anche per coloro i quali fossero del tutto digiuni di concetti basici di epidemiologia e virologia.
Quammen, tra le altre cose, ha al suo attivo anche studi umanistici, e si nota: la sua prosa è eccezionale! Il suo non è un monolitico trattato scientifico, ma un saggio attendibile che ha il carattere di un avvincente racconto di avventure in luoghi esotici (teniamo a mente che Quammen è stato anche reporter per National Geographic). Tra le pagine, qua e là, si assapora anche una sottile ironia, un tratto utile a smorzare la severità del tema. Gli americani, per intenderci, lo classificano nel genere della non-fiction.

Oggetto del libro sono le zoonosi, le infezioni animali trasmissibili all’uomo per mezzo del cosiddetto “salto di specie” o spillover, appunto. Tra i patogeni, quelli virali sono particolarmente ardui da debellare, poiché sono piccoli, versatili e si evolvono rapidamente, fattore che li rende pressoché immuni agli antibiotici. Un’epidemia standard prevede almeno tre attori sul proscenio: (1) il patogeno, spesso un virus, (2) la specie “serbatoio”, un animale che ospita al suo interno il patogeno e dal quale, generalmente, non riceve né grossi benefici, né grossi danni e (3) l’uomo, che può diventare il cul-de-sac della propagazione dell'agente infettivo con la morte di entrambi (patogeno e ospite umano) o il mezzo di diffusione epidemica con tassi di contagio e letalità che variano da un caso all’altro.

 

La maggioranza delle malattie note, e le conseguenti epidemie, sono ascrivibili ai processi zoonotici  appena descritti. Esistono, anche se più rari, processi inversi, ovvero spillover dall’uomo agli animali, in questo caso si chiamano antroponosi; un esempio sono i casi di morbillo trasmessi ai gorilla di montagna da ignari turisti nel parco nazionale dei Virunga. 

Gli eventi epidemici, ci spiega l’autore, non sono elementi nuovi. Anzi è probabile che accompagnino l’umanità dal Neolitico, momento in cui comunità umane via via più numerose hanno cominciato a vivere sempre più a stretto contatto con il bestiame. Eppure pare che, negli ultimi anni, la loro frequenza sia aumentata in maniera significativa. Basti pensare a quante vicende di tale natura abbiamo dovuto affrontare solo nello spettro degli ultimi cinquant’anni: ebola, HIV, SARS, MERS, influenza suina, coronavirus... Per citarne solo alcune.
Perché le epidemie sono diventate una costante del mondo globalizzato?
Che sia chiaro da subito: c’è una correlazione - sostiene con vigore Quammen - tra queste malattie che saltano fuori una dopo l’altra, e non si tratta di meri accidenti ma di conseguenze non volute di nostre azioni. Sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria. [...] Da un lato la devastazione ambientale causata dalla pressione della nostra specie sta creando nuove occasioni di contatto con i patogeni, e dall’altro la nostra tecnologia e i nostri modelli sociali contribuiscono a diffonderli in modo ancor più rapido e generalizzato.” 


Il problema per l’uomo, sarebbe a dire, è l’uomo stesso. Qualche giorno fa, discutendo di sostenibilità, ho affrontato questo argomento anche qui.
Identificare le problematiche è il primo passo per risolverle, d’accordo, ma nel concreto cosa dobbiamo fare?

Come per ogni problema complesso, non possiamo accontentarci di risposte semplici e ben confezionate. Le soluzioni non possono essere episodiche ed estemporanee, bisogna intervenire in maniera sistemica ripensando a fondo processi articolati che si diramano su un’infinità di attività umane che, a loro volta, hanno ripercussioni dirette e indirette sugli ecosistemi e sul nostro attuale stato di salute e di benessere.

Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti:
Commenta il post