10 domande sulla scienza al Prof. Giuseppe Zanotti, biochimico e autore del libro Sofia e la Mela

Pubblicato il da Daniele A. Esposito

10 domande sulla scienza al Prof. Giuseppe Zanotti, biochimico e autore del libro Sofia e la Mela

Ho conosciuto il professor Giuseppe Zanotti per mezzo di un carteggio in piena pandemia (a dire il vero è stata una semplice conversazione via mail, ma l’idea di evocare penna e calamaio mi sembrava più poetica). Malgrado la tetra cornice emergenziale, lo scambio è stato decisamente proficuo.

Con immenso stupore da parte di entrambi, il servizio postale italiano, nonostante il blocco pressoché totale varato dai decreti ministeriali, ha attraversato il nord Italia da un capo all’altro in un solo giorno lavorativo, recapitandomi a casa una copia di Sofia e la mela. Breve introduzione all’epistemologia per utenti occasionali.

Giuseppe Zanotti è docente di biochimica presso l’Università di Padova e da anni si occupa di determinare la struttura tridimensionale di macromolecole biologiche. Sul finire del 2019 ha pubblicato Sofia e la mela con il Gruppo Albatros, “un’introduzione alla filosofia della scienza per non addetti ai lavori, un libro scritto da un non-filosofo per un pubblico composto da non-scienziati”.

Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di comprendere la scienza e il suo raggio di competenza. Perché quest’urgenza? Negli ultimi secoli, grazie ai progressi della scienza e della tecnica il mondo è oggettivamente cambiato (spesso in meglio), eppure pare di percepire una crescente diffidenza dell’uomo comune nei confronti del metodo scientifico. E’ necessario, prima di tutto, fare chiarezza, capire che cosa la scienza è e che cosa non è, individuare la tipologia di problemi che il metodo scientifico può contribuire ad affrontare e quali esulano dal suo ambito di competenza.

In questo panorama di fraintendimento ed incertezza si insinua, con chiarezza disarmante, il saggio del professor Zanotti: un contributo necessario per mettere ordine tra le idee sparse e spesso confuse che generalmente affiorano in ognuno di noi quando si pensa alla scienza.

Particolarmente interessante è, assieme alla disamina sulle principali posizioni filosofiche riguardo alla scienza, il percorso delineato tra i vari ambiti di ricerca. Partendo dalla fisica e dalla chimica, le cosiddette hard sciences, per arrivare alla biologia e alla medicina, vengono delineate le basi metodologiche soffermandosi, di volta in volta, su potenzialità e limiti. Se le scienze dure possono contare su una solida impalcatura sperimentale, per le scienze della vita le cose non stanno sempre così: in questi due ambiti, vuoi per ovvi condizionamenti morali, vuoi perché ogni organismo differisce leggermente dagli altri anche all’interno della stessa popolazione, non sempre è possibile ripetere gli esperimenti. Come si superano allora questi limiti? Tendenzialmente, ci spiega l’autore, prendendo in analisi ampi campioni della popolazione e interpretando i risultati sperimentali su base probabilistica.

Necessaria, poi, è la dissertazione su temi di grande attualità quali vaccini, cure omeopatiche, medicina alternativa e OGM. Le posizioni dell’autore su questi argomenti sono chiare e decisamente convincenti, vi esorto ad approfondirle.

Sono molti i contenuti trattati nel testo e, come ogni lettura stimolante, diversi sono gli interrogativi che Sofia e la mela mi ha suscitato. Ho approfittato della gentilezza del Prof. Zanotti per rivolgergli direttamente alcune delle mie domande. Le trovate a seguire assieme alle sue risposte.

10 domande sulla scienza al Prof. Giuseppe Zanotti, biochimico e autore del libro Sofia e la Mela

1. La prima domanda può sembrarle banale, ma scaturisce dalla mia curiosità personale. Perché uno scienziato come lei, che si dichiara un non-filosofo, sente il bisogno di addentrarsi nelle trame della filosofia spingendosi a scriverne un libro? E’ in grado il filosofo di mettere completamente a fuoco il processo scientifico o, per fare ciò, ha bisogno del supporto dello scienziato?

Esistono moltissimi libri di filosofia della scienza, scritti da filosofi di professione, che descrivono la disciplina molto bene, e in modo molto appropriato. Questi testi però, proprio perché sono rigorosi, risultano molto poco comprensibili ai non-filosofi, o comunque a coloro che non conoscono la letteratura del settore, e in generale al grande pubblico. Uno dei motivi per cui ho scritto questo libro è quello di fornire, spero in modo comprensibile, la visione di uno scienziato, cioè di una persona che si occupa dell’oggetto di cui tratta la filosofia della scienza.

2. Nel suo libro si parla, tra le altre cose, dei limiti della conoscenza scientifica. Perché è importante circoscrivere chiaramente il raggio di competenza del metodo scientifico? Ritiene che questi limiti possano, in qualche modo, inficiare la percezione che i non addetti hanno della scienza?

Credo che una buona parte dei malintesi dell’opinione pubblica nei confronti dei risultati della scienza dipenda dal fatto che una grossa parte dell’opinione pubblica attribuisce alla scienza conoscenze e poteri molto superiori al reale (mentre un’altra parte dell’opinione pubblica più semplicemente non crede nei risultati della ricerca scientifica. Per questi, si veda la risposta alla domanda 3). I limiti della scienza sono una risposta a coloro che hanno una fiducia illimitata, o quasi, nella scienza. La scienza è in grado di dare risposte in certi casi, e non in altri, perlomeno al momento. Ci sono oggi molte più cose che conosciamo rispetto al passato, ma anche moltissime che non conosciamo. In ogni caso, nel libro puntualizzo più volte che la scienza si occupa dei fenomeni, non delle verità assolute.

3. Lei pone l’accento sulla tendenza crescente nel diffidare della cosiddetta “scienza ufficiale”. Ritiene che sia possibile far cambiare opinione a chi prova questa ostilità? Le sembra fattibile, in sostanza, invertire questo trend di accresciuta diffidenza? Se sì, come?

Non mi stancherò mai di affermare che non esiste una “scienza ufficiale”, esiste una scienza che si basa sui dati sperimentali, sui fatti osservabili. Se nuovi dati su un certo fenomeno smentiscono una teoria scientifica esistente, quest’ultima andrà cambiata o modificata. Non so se sia possibile far cambiare idea a chi è per principio contro la “scienza ufficiale”, spero che qualcuno leggendo il libro si convinca.

4. Perché, secondo lei, la “scienza non ufficiale” fa così tanta presa sulle persone? Perché, insomma, un’accozzaglia di opinioni spesso non verificabili suscita più interesse rispetto ad una teoria sperimentalmente validata grazie alla quale è possibile fare previsioni? Qual è il suo pensiero al riguardo?

Questa è una domanda che andrebbe posta ad uno psicologo. In molti casi credo che questo dipenda dalla non conoscenza di cosa è esattamente la scienza e di quali sono i suoi limiti. Se ci si aspetta troppo, si rischia poi di rimanere delusi. Soprattutto per questo ho scritto questo libro, cercando di mettere in evidenza i limiti, oltre che i pregi, della ricerca scientifica.

5. Tra le scienze sperimentali ce ne sono alcune, le cosiddette hard sciences, che godono di credibilità maggiore. Mi chiedo se ciò, in virtù di basi epistemologiche differenti, possa rendere problematico il dialogo e la cooperazione tra scienziati di settori diversi, ad esempio un fisico ed un biologo. Qual è la sua esperienza in tal senso?

No, non ci sono assolutamente problemi di cooperazione tra aree diverse. Consideri che io sono laureato in chimica, il mio attuale dottorando è un fisico e lavoro in un Dipartimento dove la maggior parte dei ricercatori fa esperimenti con le cellule o con i topi. Le vere differenze epistemologiche esistono tra chi può effettuare esperimenti e chi si deve limitare alle osservazioni, ma questo non credo conferisca più credibilità ad una disciplina piuttosto che a un’altra.

6. L’Italia, a cavallo tra il ‘500 ed il ‘600, è stata tra le culle della scienza con Galileo Galilei. Che ruolo ha avuto, nei secoli successivi, il Bel Paese nel panorama scientifico occidentale? E oggi investiamo abbastanza nella ricerca di base?

Nel ‘500 -‘600 (e in parte anche prima) l’Italia è stata all’avanguardia non solo nelle scienze fisiche, la cui punta più alta è rappresentata da Galileo, ma anche nell’anatomia, pensiamo ad esempio alla scuola anatomica a Padova e Bologna (Falloppio, Vesalio, Fabrizio d’Acquapendente,…). Più in generale l’Italia, o meglio i principati e le città italiane, primeggiano nella cultura per tutto il Rinascimento. Dalla seconda metà del Seicento in poi comincia la decadenza, che in realtà si accompagna alla decadenza politica ed economica (o meglio, ne è la conseguenza). Senza un forte sostegno economico questi sono secoli di declino, nonostante alcune punte di eccellenza, e i centri leader nella ricerca (e nella cultura in genere) nel ‘700 e ‘800 si spostano nel centro e nord Europa, poi negli USA nel ‘900; in questo secolo l’equilibrio si sta spostando verso la Cina. La realtà è che la ricerca (soprattutto la ricerca di base) ha bisogno di finanziamenti, e questi in Italia non ci sono quasi più, come conseguenza del decadimento economico. Oggi in Europa si investe molto poco nella ricerca di base, i finanziamenti vanno soprattutto alla ricerca finalizzata, senza pensare che quest’ultima non esiste senza che ci sia stata prima quella di base.

7. Nel suo libro è presente una disamina assai interessante inerente agli atteggiamenti antiscientifici e/o pseudoscientifici che hanno trovato, soprattutto negli ultimi anni, largo consenso nell’opinione pubblica. E’ importante ribadire, specie in un periodo come quello che stiamo vivendo, che queste ideologie possono avere serie ricadute sul benessere dell’intera comunità. Quale tra queste posizioni la preoccupa di più e perché?

Non mi preoccupa una cosa specifica, mi preoccupa l’atteggiamento generale. Mi preoccupa la mancanza di accettazione della realtà, anche se si tratta semplicemente della realtà fenomenica.

8. C’è qualche nuova frontiera della scienza nella quale ripone particolare fiducia?

Al di là di singoli settori, credo che la più grande sfida ora riguardi i sistemi complessi. Questi richiedono strumenti matematici che ancora non abbiamo. Come Newton ha dovuto inventare (in parallelo con Leibniz) il calcolo differenziale per poter descrivere matematicamente la sua fisica, oggi abbiamo probabilmente bisogno di altri strumenti matematici per comprendere i sistemi complessi. Il fatto è che i sistemi reali, dal clima fino agli organismi viventi, sono sistemi che forse non si prestano ad essere descritti in modo completo con un approccio riduzionista.

9. Qual è la lezione più grande che ha appreso nella sua carriera da scienziato?

Che tutto può essere messo in discussione, nella scienza non c’è niente di sacro o di intoccabile. Naturalmente per mettere in discussione una teoria consolidata servono prove sperimentali molto solide. I veri cambi di paradigma nella scienza, per dirla con Kuhn, sono stati fino ad ora molto pochi.

10. Che consiglio si sente di dare, oggi, ad un giovane affinché possa orientarsi in maniera consapevole nell’era della rete e delle fake news?

La risposta a questa domanda è già in quella alla domanda precedente.
 

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